Il caldo uccide? I dati che non ti dicono sul clima
Ti hanno detto che il cambiamento climatico ha triplicato i morti per caldo. Ma i dati reali dove sono? Un’analisi critica tra scienza e narrazione
Ti hanno detto che il caldo uccide, ma non ti hanno detto cosa non sanno
Quando i numeri non ci sono, si inventano.
Quando i morti non si contano, si modellano.
Quando la realtà non basta, arriva la narrazione climatica.
Per giorni abbiamo letto titoli allarmanti, ripresi da giornali, radio, TV e social:
“Il cambiamento climatico ha triplicato i morti per caldo in Europa.”
A sostenerlo è un nuovo report del Grantham Institute dell’Imperial College di Londra, pubblicato a inizio luglio 2025.
Un istituto autorevole.
Uno studio scientifico.
Un risultato potente.
C’è solo un problema.
Non è vero.
Nessuno sa quante persone siano morte per il caldo tra il 23 giugno e il 2 luglio 2025.
Nemmeno il Grantham Institute.
Nemmeno il Guardian.
Nemmeno l’IPCC.
Perché i dati non esistono.
Non ancora. E forse non esisteranno mai, almeno in forma trasparente, disaggregata per età, per causa clinica, per città.
Il report che ha fatto il giro del mondo non è un’indagine epidemiologica, né un’analisi basata su certificati di morte, referti medici o banche dati sanitarie.
È una simulazione matematica.
Un modello statistico.
Un esercizio ipotetico costruito su uno scenario alternativo: un mondo in cui non c’è stato il riscaldamento globale, e in cui – si suppone – le temperature sarebbero state più basse. E quindi – forse – ci sarebbero stati meno morti.
Le vittime? Non sono state contate. Sono state stimate
Non c’è un solo referto medico.
Non c’è un solo certificato ISTAT.
Non c’è una sola autopsia.
Non c’è nemmeno una cartella clinica.
Solo un modello.
Solo un algoritmo.
Solo una stima.
Ma chi muore davvero, e perché?
Questa domanda resta senza risposta.
Non ci sono dati clinici.
Non ci sono mappe epidemiologiche.
Non ci sono indicatori sanitari.
Non ci sono controlli incrociati tra fonti ospedaliere e demografiche.
Eppure, il risultato è già fissato:
“Colpa del cambiamento climatico.”
Ora fermati un attimo.
Respira.
Immagina che un tribunale pronunciasse una sentenza senza testimoni, senza prove, senza autopsie. Solo con un algoritmo.
Lo chiameremmo giustizia?
Immagina che un medico ti prescrivesse una cura sulla base di una simulazione, senza averti mai visitato.
Lo chiameremmo scienza?
E allora perché lo accettiamo nella politica climatica?
Il punto non è negare l’effetto del caldo.
Il punto è pretendere serietà. E rigore.
Se si parla di morti, di salute, di emergenze, i numeri devono essere:
- osservabili
- verificabili
- certificabili
Perché non si costruisce una cultura della prevenzione sulle sabbie mobili del “forse”.
Meno titoli. Più Onestà. Più Dati 📉
Perché tutto questo conta?
Perché mentre la comunicazione mainstream orchestra allarmi sempre più spettacolari, c’è una parte politica – sempre la stessa – che cavalca queste narrazioni acriticamente, pur di accalappiare qualche voto in più.
E chi si permette di fare domande, chi chiede trasparenza e rigore, viene subito aggredito. A volte solo verbalmente. Altre volte no.
E poi? Dopo i convegni? Dopo le tavole rotonde con stakeholder, accademici, associazioni, ONG, direttori generali e consulenti?
Cosa resta davvero nelle città?
Dove sono i risultati oggettivi, misurabili, scientificamente verificabili?
Per capirlo, basta guardare ai dati ufficiali pubblicati da ISPRA, nell’ultima edizione del rapporto:
📎 Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici – Edizione 2024 (PDF completo)
📄 Pagina di presentazione del rapporto sul sito ISPRA
🗺️ Geoportale ISPRA – Visualizzazione interattiva dei dati
Nell’ultima rilevazione, il suolo consumato in Italia ha raggiunto i 21.578 km², pari al 7,16% del territorio nazionale, e oltre 72 km² sono stati impermeabilizzati solo nell’ultimo anno. Anche in zone a rischio idrogeologico.
Nel frattempo, molte piazze e spazi pubblici vengono progettati ancora oggi come vere e proprie isole di calore, con scelte materiali e urbanistiche in totale contrasto con gli obiettivi climatici dichiarati.
A dirlo non è un “negazionista”, ma proprio Michele Munafò, coordinatore del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente:
“Superfici impermeabili, asfalto ovunque, nessuna ombra. Tutto il contrario di quello che servirebbe. È una deriva culturale prima ancora che urbanistica.”
🎥 Fonte: Conferenza stampa ISPRA 2024 – YouTube, minuto 18:47
E mentre si pubblicano documenti di 800 pagine pieni di “best practice”, le buone pratiche restano nei dossier.
Non arrivano mai nei progetti esecutivi.
Quello che serve oggi non è l’ennesimo allarme.
Non è l’ennesimo piano teorico.
È una svolta culturale, fondata su:
- Dati verificabili
- Responsabilità amministrativa
- Trasparenza operativa
- Onestà intellettuale
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🔍 Chi non si accontenta degli slogan, chi osa porre domande scomode,
non è negazionista. È semplicemente l’unico che sta ancora facendo politica sul serio.
Quando il tutto è affidato a statistiche mai pubblicate è sempre così. Non si può neanche definire ipotesi ma solo un cumulo di parole fondate su stime inesistenti ovvero falsità. Le verità stanno sui progetti, proposte, decreti e quant’altro che non tiene conto delle conseguenze che il tutto genera. Si potrebbe parlare tanto e discutere di tanti argomenti. Il verde importantissimo, per me sono anche importati coloro che lo utilizzano in tutti i modi. Stiamo distruggendo quanto di vitale importanza, trovo assurdo quanti si lamentano degli abitanti dei boschi che si addentrano nelle città. Scrivere ancora mi pare di sconfinare in prolissaita, per cui fermo qui. Non ho un sito web